Quando si parla di “caparra” è necessario distinguerne le varie funzioni a seconda dei casi. In un contesto contrattuale, infatti, assumono un ruolo ben diverso la “caparra confirmatoria” e la “caparra penitenziale”.
In ambito immobiliare con il termine “caparra” si intende solitamente un acconto sul totale dovuto che viene versato dall’acquirente al venditore al momento dell’accordo. Il saldo, nella maggior parte dei casi, avviene contestualmente al rogito notarile.
Per quanto possa sembrare strano, comunque, “caparra” e “acconto” non sono affatto la stessa cosa. Quest’ultimo, infatti, viene consegnato come conferma della propria volontà di acquisto, ma deve essere immediatamente restituito nel caso in cui non si concluda la compravendita.
Cosa si intende quindi per “caparra confirmatoria”?
Questa, a differenza dell’acconto, ha potenzialmente una funzione di “risarcimento”: se il contratto per qualche motivo non dovesse concludersi, chi decide di recedere non rientrerà in possesso della somma già versata, poiché il venditore ha il diritto di trattenere la caparra.
Nel caso in cui sia il venditore in posizione di inadempienza, invece, all’acquirente spetterà di diritto una somma pari al doppio della caparra versata.
Per chiedere l’esecuzione forzata dell’accordo è possibile rivolgersi ad un Giudice di Pace, soprattutto se è il venditore ad essere inadempiente.
La caparra confirmatoria assume dunque l’importante ruolo di cautela ed è la forma di anticipo più usata nelle compravendite immobiliari.
Diversa è, invece, la funzione della “caparra penitenziale” (art. 1386 c.c.) : rappresenta il corrispettivo del diritto di recesso, stabilito convenzionalmente. Chi decide di recedere deve dare all’altra parte quanto pattuito a titolo di caparra penitenziale e l’altra parte non potrà chiedere altro.
A differenza della caparra confirmatoria, dunque, non ha funzione di risarcimento per il danno da mancato adempimento, ma di corrispettivo per la decisione di recedere per volontà di una delle parti.